Monitora PA: il tool che prova a difendere la privacy ma riceve attacchi

Monitora PA: il tool che prova a difendere la privacy ma riceve attacchi

Non è riuscito nemmeno Apple attraverso il suo celebre logo a invertire il significato simbolico della mela morsicata, associata dal popolo cristiano al peccato originale che relega l'umanità in una dimensione soggetta al dolore, all'invecchiamento e alla morte.

Mischiando sacro e profano, attraverso un discorso più laico potremmo comunque associare lo stesso significato negativo alla mela morsicata pensando ad esempio al frutto avvelenato dalla strega nei confronti di Biancaneve.

Nel mondo privacy, il più recente e discusso frutto proibito è sicuramente Google Analytics, una mela adorata e divorata per tanto tempo dalla maggior parte di aziende, agenzie e utenti online e ora resa incommestibile dal Garante Privacy.

Un buon sapore e ottime benefici: se una mela al giorno è consigliata dal medico “che si leva di torno”, Google Analytics pur garante di giovamenti simili, è stato proibito dal Garante perché “viola la normativa sulla protezione dei dati perché trasferisce i dati degli utenti in paesi privi di adeguati livelli di protezione”.

Monitora PA è il tool che verifica se i siti utilizzano Google Analytics

Fin qui nulla di nuovo: oramai da mesi sappiamo dello stop all’uso di Google Analytics da parte del Garante Privacy.

Se a maggio i siti delle Pubbliche amministrazioni che utilizzavano Google Analytics erano poco meno di 8.000, ad agosto il numero è sceso sotto i 2.000.

Un trend assolutamente positivo, che permette di guardare al futuro con apparente ottimismo, anche in virtù della creazione di Monitora PA, un tool capace di analizzare tutti i siti della Pubblica Amministrazione per verificare l’uso o meno da parte di Google Analytics.

La segnalazione di Monitora PA alla vigilia delle elezioni politiche

Proprio questo algoritmo ha dettato l’invio da parte di Monitora PA di 10.162 PEC per rimuovere Google Fonts dai siti della PA, perché utilizzato in maniera fraudolenta in termini privacy.

Alle porte delle elezioni, lo spauracchio di un Cambridge Analytics in versione italiana paventato da Monitora PA con l’invio di una sessantina di PEC ad altrettante caselle di posta di partiti politici italiani ha fatto scattare l’allarme.

Allarme che ha rimbombato e fatto eco soprattutto in virtù della promessa di “inviare una segnalazione al Garante per la protezione dei dati personali” in caso di mancata rimozione.

Il tutto condito dalla divulgazione della lista dei partiti politici coinvolti, le PEC inviate e le poche risposte ricevute.

Quando il giudice viene giudicato: le critiche a Monitora PA


In una sorta di loop in cui ogni soggetto coinvolto indica una violazione privacy rigorosamente compiuta da altri soggetti, Monitora PA è semplicemente il primo in ordine cronologico.

Contro l’adagio dello stolto che guarda il dito anziché la luna, armato di competenza, c’è qualche soggetto che analizza invece il dito puntato ancor prima e più dell’oggetto indicato.

Inequivocabili le parole di Andrea Lisi, esperto di diritto dell’informatica e presidente di Anorc Professioni che a Dire ha rilasciato queste dichiarazioni:

“Le intenzioni di Monitora PA sono anche condivisibili ma il metodo è completamente sbagliato, inoltre l’accostamento a Cambridge Analytica è una distorsione poiché in quel caso si raccoglievano dati di ogni tipo per scopi illegittimi e non trasparenti”.

Oltre al danno anche la beffa: “Inviando in maniera sistematica e-mail senza dimostrazione concreta della violazione del trattamento, questi attivisti stanno calpestando gli stessi diritti che affermano di voler difendere”.

Spiace per chi ha eliminato Analytics e Font perché non ha eliminato il problema che invece va risolto a monte con delle politiche che portino gli Stati Uniti al livello dell’Europa verso politiche più garantiste” ha chiuso Lisi.

Parole a cui hanno fatto seguito i fatti: c’è infatti chi ha testato il tool e rilevato numerosi bug che inficiano sull’attendibilità delle rilevazioni.

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