La polizia tedesca usa l'app “sanitaria” per un'indagine

La polizia tedesca usa l'app “sanitaria” per un'indagine

Affinché si trasformi in un romanzo giallo di successo occorre che l’episodio di Magonza termini con un colpo di scena finale.

C’è una vittima, c’è l’assassino e c’è un’indagine investigativa in corso che involontariamente rischia di fare giurisprudenza in negativo in termini di protezione di dati personali.

Ciò che i più fervidi complottisti temevano, rischia di trasformarsi in realtà: i software di monitoraggio della pandemia sarebbero stati utilizzati per altri fini.

Il condizionale è d’obbligo perché - suspence, altro elemento imprescindibile di ogni romanzo giallo che si rispetti - è in corso un’indagine per far luce proprio sulla conduzione dell’indagine della polizia tedesca

Cosa è successo in Germania lo scorso novembre

Lo scorso 29 novembre a Mainz un uomo si è accasciato al suolo immediatamente dopo essere uscito dal ristorante dove aveva appena cenato. Dopo 11 giorni di terapia intensiva, è morto per via delle importanti ferite subite.

Per far luce sul mistero la polizia tedesca ha cercato di rintracciare testimoni appoggiandosi a un comunicato stampa.

Come prevedibile, questa iniziativa non ha prodotto risultati tanto che le forze dell’ordine hanno deciso di intraprendere altre strade.

La richiesta della polizia tedesca all’autorità sanitarie

Non è necessario essere contrari alla filosofia “il fine giustifica i mezzi”, perché è sufficiente rispettare la legge e in particolar modo il Regolamento per la protezione dei Dati Personali per condannare l’episodio.

La polizia di Mainz, infatti, ha chiesto e ottenuto dalle autorità sanitarie locali l’accesso alle informazioni su 21 persone che avevano visitato il ristorante nell'ora della morte dell'uomo per facilitare le indagini.
Secondo altre ricostruzioni l’azienda sanitaria di Magonza, su richiesta della polizia, avrebbe contattato il gestore del ristorante direttamente tramite l’app per chiedere i dati di coloro che erano presenti in sala la notte del presunto delitto.

Come funziona l’app per il tracciamento covid

L’app per il tracciamento in questione, “Luca”, funziona in maniera molto semplice: il sistema registra il tempo che una persona trascorre in un locale o a un evento culturale per tracciare l’eventuale diffusione del Covid. 

L’app nasce per facilitare il lavoro agli organizzatori di eventi e ristoratori eliminando l’utilizzo dei moduli cartacei. 

Tra i dati registrati dei volontari che utilizzano Luca spicca il numero di telefono: secondo le ricostruzioni (mai confermate ufficialmente dai diretti interessati) la polizia ha utilizzato questa informazione per raggiungere i potenziali testimoni.

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Le prime reazioni dopo l’invasione privacy della polizia

Un episodio destinato a invadere le pagine di cronaca, fomentare le proteste contro le restrizioni Covid e alimentare i timori di chi da tempo sostiene la teoria che “se ci sono i dati personali qualcuno cercherà di usarli anche per altre finalità”.

Patrick Henning, amministratore delegato di culture4life e padre biologico dell’app Luca, attraverso una nota non è stato affatto leggero nel puntare il dito contro le forze di polizia e i costanti abusi:

Riceviamo richieste di accesso ai dati di pubblici ministeri e polizia quasi ogni giorno. Condanniamo questo uso improprio dei dati raccolti dall'app Luca per la protezione dalle infezioni”.

D’altro canto però, va tenuto in considerazione il momento storico che l’intero mondo sta attraversando e l’importanza della corretta raccolta dati.

A ricordarlo è il rapper tedesco Smudo, partner commerciale di Luca che alla Bild ha sottolineato l’importanza del tracciamento: “è come se una persona in mezzo al mare aggrappata a uno scoglio buttasse via la corda che gli viene lanciata per salvarsi”.

Abuso di potere sul trattamento dei dati: non è la prima volta

Appare evidente che non si tratta di un caso isolato, bensì il più importante ed evidente in ordine di tempo.

L’Europol, l’agenzia dell’Unione Europea finalizzata alla lotta al crimine, negli ultimi anni ha raccolto una quantità sbalorditiva di dati per perseguire giustizia non precisando mai però la gestione e il trattamento di queste informazioni, specie delle persone coinvolte indirettamente e spesso inconsapevolmente.

L’accusa da parte di Domani sembra lasciare poco spazio alla fantasia sul destino di questi dati:
L’agenzia di polizia dell’Unione europea, Europol, sarà costretta a cancellare una parte significativa di un enorme archivio di dati personali che ha accumulato illegalmente negli ultimi anni”. A ordinarlo è lo European Data Protection Supervisor (EDPS), il garante europeo per la protezione dei dati personali. 

Big data che contengono miliardi di informazioni, dati sensibili estratti da inchieste sulla criminalità organizzata, da operazioni di hackeraggio di piattaforme telefoniche criptate o ancora da controlli su richiedenti asilo che non hanno commesso alcun reato”.

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