La sentenza sull’aborto è l’assist ideale per la consapevolezza privacy?

La sentenza sull’aborto è l’assist ideale per la consapevolezza privacy?

Dopo tanti gomitoli lasciati qua e là e mai realmente raccolti, Il filo di Arianna per uscire dall’ignoranza sul tema privacy potrebbe paradossalmente essere rappresentato dall’eliminazione del diritto di aborto negli Stati Uniti.

L’effetto causa-conseguenza tra abolizione dell’aborto legale e la consapevolezza dell’importanza della gestione dei propri dati personali non è affatto scontata.

In un mondo sempre più digitale, scioperi, processioni e proteste fisico/reali potrebbero avere meno risonanza di un banale tweet: così la disinstallazione massiva di un applicazione fa più eco dell’ennesimo proclamo politico.

Di cosa stiamo parlando? 

La Corte suprema Usa abolisce la sentenza sul diritto all'aborto

Andiamo per gradi, come fece Teseo per uscire dal labirinto dopo l’uccisione del Minotauro, anche noi dobbiamo per prima cosa prendere in mano l’inizio del filo.

Impossibile, anche volendo, evitare la notizia della sentenza contro il diritto all’aborto che ha sconvolto il mondo intero e ha lasciato innumerevoli strascichi .

La Corte Suprema statunitense ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto negli Usa: "La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto".

Con 6 voti favorevoli su 9, la Corte ha deciso di lasciare ai singoli stati la libertà di decidere in autonomia su questo tema.

Un assist raccolto immediatamente da Texas e Missouri che hanno già trasformato l’aborto in una pratica illegale perseguibile per legge.

Le reazioni dal mondo dopo la sentenza contro l’aborto

Tutto il mondo sembra schierato contro la sentenza. In Europa, l’aprifila è la presidente della commissione Europea Ursula Von der Layen che ha definito questa sentenza come una “battuta d’arresto” per la parità di genere.

Anche oltreoceano i diversi schieramenti politici sembrano uniti tra “un attacco alle libertà fondamentali” di Barack Obama al “passo indietro” di Hillary Clinton.

Ai proclami e le dichiarazioni da ogni parte del mondo sono seguiti anche cortei e manifestazioni che hanno coinvolto decine di migliaia di persone.

Il risvolto privacy della sentenza contro l’aborto

L’assist decisamente involontario ma probabilmente ideale per aumentare o, in parecchi casi, costruire la consapevolezza dell’importanza della protezione dei propri dati personali è stato servito dalla sentenza.

Perché diciamo questo? Se nella reazione a caldo, le priorità sembrerebbero altre, abbracciando la razionalità a discapito dell’emotività, scopriamo che il mondo privacy diventa un emisfero fortemente coinvolto da questa sentenza.

Un terzo delle donne negli Stati Uniti utilizza applicazioni per monitorare il ciclo mestruale dove si inseriscono i dati più disparati, dal primo all’ultimo giorno di mestruazioni, passando per i sintomi e arrivando alla data dell’eventuale rapporto non protetto.

La sentenza della Corte che diventa una minaccia per tutte le donne

La medaglia che da un lato splende e aiuta le donne a gestire al meglio il proprio ciclo mestruale, dall’altro lato nasconde il pericolo di raccogliere dati che potrebbero essere usati contro loro stesse.

Da un sondaggio di Consumer Reports risulta che solamente 3 applicazioni per il monitoraggio del ciclo mestruale, tra quelle testate, salvano i dati sul dispositivo e non li comunicano all’esterno e più in generale il 79% delle app sanitarie disponibili su play store nel 2019 erano “lontane dal trattare in maniera trasparente i dati dei propri utenti”

A chi cerca di minimizzare, è sufficiente ricordare come nel 2017 in Mississippi le ricerche online sui farmaci per abortire furono sufficienti (senza il bisogno di altre prove) ad accusare una donna di omicidio dopo aver partorito un bambino nato morto nel terzo trimestre.

L’invito delle donne ad altre donne: cancellate le app di tracking mestruale

La sentenza ha creato certamente sgomento, ma è sbagliato affermare che fosse inattesa: il fulmine non è caduto certamente a ciel sereno e le prime avvisaglie hanno stimolato i più attenti a correre ai ripari.

Come si può leggere in questo articolo del Guardian, già dal mese scorso era trapelata la bozza della sentenza che avrebbe poi negato il diritto all’aborto, facendo scattare l’invito a cancellare le app di tracking sul ciclo mestruale.

Corsa al riparo privacy oppure occasione ideale per la trovata commerciale?

Se nella corsa all’oro chi si arricchisce realmente sono i venditori di pale e picconi, in questo momento le app di tracking del ciclo mestruale corrono, ai ripari, o incontro ai delusi.

Si tratta più di dichiarazioni di facciata che di reali modifiche alla gestione dei dati dei propri utenti: emblematica l’indagine condotta dal Wall Street Journal che ha scoperto che, nonostante la dichiarazione di “archiviare dati anonimi e aggregati, impossibili da associare e solo per ricerca”, l'app “Flo” informava Facebook quando un utente aveva il ciclo o se intendeva rimanere incinta.

Spot On e Stardust sono due applicazioni più recenti che provano a differenziarsi dalla concorrenza, promettendo maggior trasparenza, ma sono già sotto l’occhio del ciclone.Apple nella sua app Salute offre attraverso pochi passaggi (disattivazione della memorizzazione dei propri dati sanitari in iCloud e archiviazione di dati crittografati sul proprio telefono) maggiore privacy.

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