Big data degli smartphone contro la diffusione del Covid-19

Big data degli smartphone contro la diffusione del Covid-19

Mentre la caccia alle streghe si conferma sport nazionale, anche la ricerca della soluzione, la ricetta per la pozione magica, la scorciatoia che conduce alla fine dell’epidemia è una pratica diffusa nella nostra Nazione, ma non solo.

Come spesso accade, mentre si guarda ovunque ci si dimentica di osservare ciò che abbiamo sotto il naso, o meglio, tra le dita: gli smartphone.

La risposta, se non sempre, è spesso nei big data. Quale miglior veicolo dello smartphone per tracciare e monitorare un fenomeno di massa per capire come agire di conseguenza?

Cina e Corea del Sud, due delle nazioni che nell’immaginario comune sono molto abili a prendere spunto da altri per replicare in maniera massiccia, a volte anche migliore rispetto all’idea originale, hanno confermato il motivo di questo stereotipo e sconfitto il Covid-19 prendendo spunto da Fluphone, un'app nata a Cambridge, per creare Corona 100M.

La storia di Fluphone: un’idea nata a Cambridge nel 2011 per contrastare l’influenza

Anche se in questo periodo potrebbe apparire fuori luogo utilizzare il termine viralità per descrivere qualcosa che non rappresenti l’epidemia in corso, affermare che efficacia e viralità di Fluphone non andarono di pari passo è sacrosanto.

Nonostante la prima pagina sul sito della BBC, questa invenzione non superò l’1% di iscrizioni nemmeno a Cambridge, luogo di nascita dell’app.

Nel 2011, Jon Crowcroft ed Eiko Yoneki, due scienziati dell’Università di Cambridge crearono Fluphone: un app per misurare e modellare la diffusione della normale influenza.

Come funzionava? Semplice. Grazie al Bluetooth e altri segnali wireless come proxy, Fluphone monitorava gli “incontri fisici” degli utenti a cui chiedeva di segnalare eventuali sintomi influenzali.

Quindi se un utente A pranzava con una utente B il lunedì, quando l’utente B mercoledì segnalava a Fluphone di avere l’influenza, l’app automaticamente informava l’utente A (e tutte le persone che aveva frequentato nei giorni precedenti) del “pericolo influenzale”. 

In questo modo, oltre a rallentare la diffusione, che in quel momento era il principale e probabilmente l’unico scopo dell’app, Fluphone consentiva anche di informare le autorità sanitarie che potevano monitorare e modellare la diffusione dell’influenza.

Come Cina e Corea del Sud hanno contrastato il Coronavirus

Tra i tanti misteri che Cina e Corea del Sud nascondono riguardo la vittoria contro il Coronavirus, una delle poche cose sicure è l’utilizzo di questa app per smartphone in grado di monitorare le persone con la malattia.

L’obiettivo è stato portato a termine e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma a che prezzo?

La violazione di gran parte dei principali diritti alla privacy giustifica il fine?

L’uso governativo di questa app ha prodotto numerosi effetti collaterali.

In Corea del Sud le autorità hanno reso pubbliche informazioni private, precise e dettagliate su tutti i movimenti delle persone infettate da Covid-19, suscitando in più di un'occasione vergogna e dando vita a dicerie e voci incontrollate.

WeChat e AlliPay, due delle app più diffuse nel versante asiatico, hanno assegnato dei “codici colore” per determinare il grado di libertà dei vari utenti.

Grazie ai dati provenienti dalla geolocalizzazione, questa app consente di controllare fisicamente gli spostamenti delle persone ed evitare alle persone infettate di uscire di casa.

Anche in questo caso si sono presentati effetti collaterali: in più casi i codici sembravano essere stati applicati arbitrariamente, inoltre esistono prove che queste app condividevano i dati alle autorità.

Risorsa o ulteriore problema? L’approccio degli USA nei confronti di questa tecnologia

Sono numerosi gli interrogativi non ancora sciolti che comportano la fase di stallo negli Stati Uniti.

I pericoli da una parte:

  • La raccolta di dati comporterebbe una violazione della privacy?
  • La diffusione di questi dati seminerebbe panico e/o confusione?
  • Il monitoraggio degli smartphone rappresentebbre una sorveglianza aziendale e/o governativa indesiderata?

Conoscendo il nemico, considerati i rischi e i pericoli delle contromosse, con gli esempi di Cina e Corea del Sud, è abbastanza concreto lo scenario futuro.

Esistono però alcuni accorgimenti che potrebbero far pendere la bilancia a favore dei vantaggi:

  • Utilizzare questa app per popolare dati cartografici anonimi.
  • Fornire i dati ai ricercatori per capire la durata del virus sulle superfici, quale frazione della popolazione è portatrice asintomatica.

Alcuni tecnici statunitensi stanno facendo ciò in cui gli asiatici sono i migliori: prendere spunto dall’idea originale per creare una copia migliore.

Il progetto open source prende il nome di CoEpi, è nato a febbraio nel MIT Media Lab, dove il team guidato da Ramesh Raskar sta sviluppando un'app in grado di registrare i movimenti degli utenti e confrontarli con quelli di noti pazienti affetti da Covid-19.

Qualche settimana fa è stato rilasciato il primo test, ma il lavoro è tutt’altro che terminato.

Oltre ai potenziali pericolo già citati, l’impressione è che questa app sia ancora grezza, troppo imprecisa per fotografare in maniera dettagliata il coronavirus.

Ad esempio la geolocalizzazione attuale conserva un margine di errore dai 7 ai 13 metri, mentre la diffusione del Covid-19 avviene tra persone che si trovano a meno di un metro di distanza.

L’opinione degli esperti tra prospettive ed opportunità

Non c’è ancora comunione di intenti e un punto di vista univoco: c’è chi vede grandi prospettive, chi invoca un uso immediato di questa tecnologia e chi invece è preoccupato dai rischi e ne sconsiglia l’adozione suggerendo di concentrare tempo, risorse e attenzione su altre idee.

Stefan Germann, CEO della Botnar Foundation, crede che il tempismo sia un fattore importante, ma che non vada confuso con la fretta e suggerisce un test “su una singola città” per valutare l’efficacia di questa app “dal grande potenziale”.

I più fervidi sostenitori scrivono a Google e Apple chiedendo che la tecnologia venga aggiunta come impostazione predefinita in tutti gli smartphone come aggiornamento del software “crediamo che se tale funzionalità fosse onnipresente, le persone sarebbero meno esposte. Inoltre sarebbe possibile controllare e tracciare la diffusione di future epidemie”.

Nella lettera, l’esclusione del governo garantirebbe il superamento dei vincoli legati ai rischi di sorveglianza: nessuna banca dati nazionale, il controllo avverrà con software di sicurezza avanzato.

Secondo Hannah Fry, professore associato presso il Center for Advanced Spatial Analysis presso l'University College di Londra nel Regno Unito, l’imprecisione della geolocalizzazione è uno scoglio attualmente impossibile da superare che potrebbe “incoraggiare comportamenti rischiosi dando alle persone un senso falso di sicurezza. Inoltre i dati per essere attendibili dovrebbero essere sempre veritieri e l’adozione di questa app dovrebbe superare il 20% della popolazione mondiale”.

Finora il governo degli Stati Uniti, pur incoraggiando le aziende tecnologiche a trovare delle soluzioni nella lotta contro il coronavirus, non sta contribuendo agli sforzi e l’idea del monitoraggio non è nemmeno stata presa in considerazione.

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